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VACCINI: UN MILIONE E MEZZO DI BAMBINI MUORE PERCHE' NON PUO' ACCEDERVI

Ogni anno più di un milione e mezzo di bambini al di sotto dei cinque anni muore a causa di malattie prevenibili attraverso le vaccinazioni. Come intervenire? Quali politiche mettere in atto per contrastare questo fenomeno? Temi che affronterà il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas e rettore della Humanitas University nel corso del suo intervento a «Science for Peace», la conferenza mondiale organizzata dalla Fondazione Umberto Veronesi, in programma il 15 e il 16 novembre all'Università Bocconi di Milano.

Professor Mantovani, quali sono le principali cause di morte in età pediatrica nei Paesi in via di sviluppo? Ad oggi nei 70 Paesi più poveri del mondo i bambini sotto i cinque anni di età muoiono principalmente per morbillo, tetano e infezioni da rotavirus. Ogni anno sono 1,5 milioni i decessi. Eppure si tratta di malattie facilmente prevenibili grazie alle più comuni vaccinazioni. Un numero impressionante che fortunatamente negli anni è calando sensibilmente. Solo dieci anni fa le morti erano 2,5 milioni.

Come è stato possibile riuscire ad evitare un milione di morti? E’ solo una questione di vaccini?

I vaccini sono lo strumento principale per evitare queste morti. Il vero problema però è riuscire a vaccinare chi ne ha bisogno. La sfida è infatti di tipo organizzativo ed economico. Fortunatamente nel 2000 è nata GAVI Alliance, una partnership formata da organizzazioni pubbliche e private che si pone come obbiettivo ultimo l'accesso ai vaccini a tutti i bambini del mondo. In questi anni di attività, dove per cinque anni ho avuto l’onore di essere nel board scientifico, siamo riusciti a vaccinare oltre 500 milioni di piccoli prevenendo così oltre 5 milioni di decessi. Un risultato molto importante a cui l’Italia ha dato un grande contributo anche in termini economici.

Quanto contano le risorse economiche nell’arrivare a fornire vaccini per tutti?

Il problema della reperibilità di fondi è uno dei principali. Negli anni della mia permanenza in Gavi, ad esempio, avevamo in progetto un importante campagna di vaccinazione per arginare la meningite nell’Africa Sub Sahariana, una patologia molto diffusa in quell’area. L’idea era quella di introdurre il vaccino coniugato ma, complice l’inizio della crisi economica agli inizi degli anni duemila, ciò non fu possibile per mancanza di fondi. Ci sono voluti anni prima che il progetto potesse partire. Non solo, un altro esempio è relativo all’introduzione del vaccino HPV per la prevenzione del cancro della cervice uterina, un tumore che in Africa subsahariana rappresenta la prima causa di anni di vita persi per una giovane donna. Anche in questo caso allora non avevamo le risorse necessarie per estendere il vaccino a chi ne aveva bisogno.

Esistono altre difficoltà indipendenti dal punto di vista economico?

Certamente. Una delle sfide principali nella somministrazione dei vaccini è “l’ultimo miglio”. Ecco perché GAVI, oltre a lavorare per ridurre i costi dei singoli vaccini, è impegnata nel creare le condizioni per sviluppare sistemi efficienti di consegna e somministrazione degli stessi. Possiamo portare tutti i vaccini che vogliamo ma se non arriviamo a vaccinare le persone anche nei villaggi più remoti non potremo mai vincere la sfida. Ma l’obbiettivo finale a cui dobbiamo tendere è quello di rafforzare i sistemi sanitari dei Paesi più poveri del mondo creando le condizioni affinché queste nazioni possano poi rendersi autonomi dal nostro aiuto organizzativo ed economico. Un processo lungo ma necessario.

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