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Antibiotici in gravidanza? Sì, ma sempre con cautela

L'uso di antibiotici durante la gravidanza potrebbe far insorgere una malattia infiammatoria intestinale nella prole. «Decisiva» sembra essere l'alterazione del microbiota intestinale

Vanno sicuramente dati con misura ai bambini, durante l'età infantile. Ma in realtà con gli antibiotici non si dovrebbe esagerare fin dalla gravidanza. Il cattivo utilizzo di questi farmaci salvavita è - a tutti i livelli - correlato con l'aumento del fenomeno della resistenza, grazie alla quale anche i microrganismi più aggressivi riescono a eludere l'intervento dei farmaci. Se però il «fai-da-te» è attuato nel corso della gestazione, si corre pure il rischio di condizionare la salute del nascituro: favorendo l'aumento di condizioni quali il sovrappeso e le malattie infiammatorie croniche intestinali, morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa.

PRUDENZA DURANTE LA GRAVIDANZA

Se la correlazione con l'aumento di peso era già nota, uno studio pubblicato sulla rivista Gut ha posto l'attenzione sulla relazione tra le malattie infiammatorie croniche intestinali e la composizione del microbiota. A condurlo un gruppo di ricercatori svedesi, che ha indagato il rischio di sviluppo di una delle due malattie sopra citate nei primi sei anni di vita in oltre 800mila bambini nati fra il 2006 e il 2016 ed esposti a terapia antibioticadurante la gravidanza o in età neonatale. Dai risultati è emerso che il «contatto» con i farmaci in fase gestazionale ha aumentato di quasi due volte il rischio di sviluppare una malattia infiammatoria intestinale nei primi anni di vita. Trend che invece non è stato osservato nei bambini curati con gli antibiotici durante l'età infantile. «Questo studio conferma la capacità che hanno gli antibiotici di modificare il microbiota intestinale - afferma Gianluca Ianiro, gastroenterologo del Policlinico Gemelli di Roma -. I dati che emergono sono in linea con la fisiopatologia umana. Il microbiota intestinale ha il compito di regolare il metabolismo e e il sistema immunitario. Se viene alterato, ecco che possono sviluppare delle malattie associate allo squilibrio di tali funzioni». LE «MICI» NEI PRIMI ANNI DI VITA

Le malattie infiammatorie croniche intestinali, fino a non molto tempo fa, venivano considerate dai pediatri condizioni rare nel bambino. Oggi si sa che, almeno nei Paesi occidentali, l'aumento dei numeri si registra anche tra i più piccoli. La genetica ha un ruolo rilevante: nella malattia di Crohn più che nella rettocolite ulcerosa. Ma il recente trend non può non lasciar pensare all'impatto degli stili di vita moderni: dal maggiore consumo di cibi industriali all’abuso di antibiotici, dal fumo a una quotidianità più sedentaria. Tutti aspetti che hanno un «approdo» comune: la modifica del microbiota intestinale, già studiata da un gruppo di specialisti dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze, in relazione alle scelte alimentari. I ricercatori avevano messo a confronto la dieta occidentale di un gruppo di bambini toscani sani con quella quasi vegetariana di un gruppo di coetanei di una zona rurale del Burkina Faso. La flora batterica di questi ultimi, nonostante le condizioni igieniche precarie degli ambienti e l'elevata presenza di microrganismi patogeni, era caratterizzata da una maggiore biodiversità, con un numero più elevato di batteri preziosi per la produzione di molecole antinfiammatorie. Una base di partenza considerata un efficace «antidoto» sia al morbo di Crohn sia alla rettocolite ulcerosa.


IL RUOLO DEL MICROBIOTA

Il microbiota - o meglio: un'alterazione della sua composizione in chiave patologica - avrebbe un ruolo preponderante nell'insorgenza di malattie quali il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, caratterizzate da un decorso intermittente (si alternano periodi di latenza con altri di riacutizzazione). Non l'unico, probabilmente, dal momento che poco si sa dei meccanismi alla base dell'insorgenza di queste malattie. Ma il suo ruolo - questo è ormai riconosciuto in maniera pressoché unanime - non è da trascurare. Ecco perché si continuerà a studiare il «link» con l'utilizzo di antibiotici, con cui il bambino può entrare in contatto sia durante la gravidanza sia nei primi anni di vita. Una somministrazione eccessiva o errata - dal momento che la maggior parte di questi farmaci riesce ad attraversare la placenta - è in grado di alterare la composizione della flora intestinale. E questo possibile «rimescolamento», oltre che alla possibile insorgenza di una malattia infiammatoria intestinale, è da tempo studiato anche come possibile concausa di insorgenza di condizioni neurologiche e oncologiche (in particolare il tumore del colon-retto).



ANTIBIOTICI IN GRAVIDANZA: QUANDO E QUALI

Da qui l'indicazione a ricorrere agli antibiotici soltanto quando strettamente necessario, nel corso dei nove mesi (anche se i rischi per il feto, in generale, si riducono durante il terzo trimestre). Occorre fare una prima grande distinzione, tra infezioni di origine batterica e virale. È soltanto nel primo caso che gli antibiotici - studiati appositamente per sconfiggere i batteri e non i virus - si rivelano efficaci rimedi terapeutici. «Le infezioni più comunemente riscontrate durante la gravidanza sono quelle del tratto urinario, quelle sessualmente trasmesse e delle vie respiratorie. «Gli antibiotici rappresentano quasi l'80 per cento di tutti i farmaci prescritti durante la gravidanza e quasi una donna su quattro riceve una terapia di questo tipo durante la gestazione - conclude Caterina Palleria, farmacologa dell'Università Magna Graecia di Catanzaro -. Laddove il trattamento farmacologico fosse necessario, i farmaci da utilizzare come prima scelta sono i beta-lattamici (penicilline, cefalosporine, carbapenemi, ndr). Oggi abbiamo a disposizione una mole di dati sufficiente a considerare sicuro il loro uso durante la gravidanza».


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