Quando serve rivolgersi allo psicologo dell’età evolutiva
I primi mesi e anni di vita dei bambini possono essere una vera e propria sfida per i genitori: bisogna imparare a conoscere il nuovo arrivato, adattarsi a nuovi ritmi, trovare nuovi equilibri con il partner e con gli altri membri della famiglia e affrontare piccoli problemi quotidiani legati alle tappe di crescita.
Non importa che si tratti del primo figlio o che si sia genitori già “esperti”: si tratta di un periodo sempre delicato per l’equilibrio psicologico dei genitori, che richiede un grande dispendio di energie ed una buona capacità di gestire lo stress.
Ogni tappa evolutiva comporta nuove sfide
Oltre al periodo dopo il parto e dei primi mesi di vita, in cui i neogenitori possono sentirsi più fragili e hanno bisogno di una rete di supporto affettivo e concreto per iniziare a costruire la relazione con il piccolo, anche altri passaggi successivi possono rivelarsi francamente impegnativi:
il periodo dello svezzamento;
la regolarizzazione dei ritmi sonno-veglia e la gestione della nanna;
il raggiungimento del controllo sfinterico, con il passaggio dal pannolino al vasino;
i momenti di separazione (come l’addormentamento nel lettino, o l’inserimento a nido/scuola dell’infanzia);
il periodo dei cosiddetti “terrible two”, quando verso i due anni i bambini desiderano una maggiore autonomia ma ancora faticano a controllare le proprie emozioni e i propri comportamenti, mettendo alla prova i genitori con tanti capricci…
In questi momenti evolutivi (e non solo), può capitare di avvertire un senso di fatica, o di non riuscire ad individuare da soli soluzioni funzionali a piccoli problemi molto comuni.
Quando è il caso di chiedere una consulenza psicologica?
Sfatiamo un mito: non è necessario che la situazione sia grave per pensare allo psicologo!
Anche “piccoli” problemi possono giustificare il ricorso ad uno psicologo: il protrarsi nel tempo di condizioni di stress può infatti diminuire nei genitori le risorse da mettere in gioco per attivare un cambiamento. L’autoconsapevolezza è una risorsa molto importante, e ascoltare i propri bisogni è un’attenzione nei confronti del vostro bambino che salvaguarda la relazione.
Alcune delle più comuni problematiche affrontate nelle consultazioni in età evolutiva sono:
periodi di particolare tensione in famiglia, non necessariamente legati al bambino (ad es. separazioni, lutti, malattie, grandi cambiamenti di vita);
comportamenti problematici o periodi di regressione nelle competenze del bambino che non si modificano, nonostante si siano già messi in atto dei tentativi;
vissuti di preoccupazione o ansia rispetto al bambino, ad esempio per cambiamenti di cui non si capisce il motivo;
vissuti personali traumatici che si possono riattivare con la genitorialità;
difficoltà di regolazione del bambino sul piano emotivo-comportamentale (es. fatica con regole e limiti);
fatiche di separazione (es. dopo l’inserimento al nido o all’asilo);
desiderio di ricevere consiglio su temi di interesse educativo.
Il primo passo è parlare con il proprio pediatra di fiducia che, conoscendo il bambino e la famiglia, potrà valutare se sia utile o necessario rivolgersi ad uno psicologo dell’età evolutiva, una figura professionale che si occupa del benessere psicologico del bambino e dell’adolescente e aiuta i genitori nel loro ruolo di educatori in tutte le fasi della crescita, dalla prima infanzia all’adolescenza.
E per i più piccoli?
Per i piccolissimi esiste lo psicologo perinatale, una risorsa ancora poco diffusa nel nostro Paese: si tratta di un professionista che ha seguito un particolare percorso di formazione e che, lavorando in collaborazione con altre figure sanitarie (neonatologo, pediatra, ostetrica) può stare a fianco dei genitori già a partire dal periodo del concepimento e della gravidanza, seguendoli anche nel periodo postnatale fino alla prima infanzia.
I percorsi in psicologia perinatale possono prendere strade diverse: dai gruppi di confronto pre- e post-parto, a consulenze individuali in studio, fino all’home visiting (un intervento di assistenza domiciliare a supporto della relazione con il neonato).
L’obiettivo del lavoro in psicologia perinatale è quello di lavorare il più possibile verso la promozione della salute e di cura della relazione sostenendo e potenziando le competenze dei neogenitori, in particolare se affrontano percorsi di procreazione assistita, lutti perinatali, prematurità o patologie congenite.
Perché è difficile chiedere un aiuto psicologico per il proprio bambino?
Per quanto ogni genitore possa riconoscere di sperimentare momenti di fatica, sembra esserci ancora spesso timore a ricercare la consulenza ed il supporto di un professionista.
L’attuale generazione di genitori è la prima a vivere immersa nel mondo altamente “social” di oggi, che offre un costante confronto con gli altri (basti pensare alle numerose pagine o gruppi disponibili in rete sul tema della maternità o della genitorialità). Spesso, però, questo confronto rischia di assumere la veste del giudizio, o di fornire consigli non sempre appropriati.
I genitori possono esitare ad esprimere i propri dubbi a causa della paura di non essere “abbastanza bravi”, e modificare pertanto i propri approcci al bambino in direzioni non sempre positive (ad esempio, rimandando una richiesta di aiuto pensando che il bambino crescerà, o adottando strategie che inconsapevolmente rinforzano il problema). Talvolta questa paura può portare ad evitare di esprimere perfino al partner e alla famiglia le proprie fatiche e frustrazioni, di fatto aumentando lo stress che finisce per ricadere proprio sulla relazione con il bambino, generando sensi di colpa che peggiorano la situazione in un circolo vizioso.
Un aiuto per essere genitori più sereni e consapevoli
Due famosi psicoanalisti ci possono aiutare a comprendere quanto sia difficile il lavoro di genitore. Sigmund Freud, il padre della moderna psicoanalisi, sostiene che quello del genitore è uno dei compiti più difficili che si possano umanamente affrontare. Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, ritiene che un genitore non abbia bisogno di essere perfetto per creare una buona relazione con il proprio bambino. E’ normale che una madre non sia infallibile, ma inevitabilmente commetta errori o abbia incertezze nel crescere il proprio bambino (una madre quindi, per usare le parole di Winnicott, “sufficientemente buona”).
Un buon genitore è quindi un genitore che sa chiedere aiuto quando serve.
E comprensibile che l’idea di esternare e condividere dubbi, paure e magari vissuti negativi (come la rabbia, o l’ansia) possa spaventare. Ma lo spazio di consultazione è una cornice riservata in cui si possono osservare le cose in un clima di ascolto privo di giudizio.
Nessun bambino arriva con il libretto di istruzioni! Per un genitore, trovare il coraggio di fare il primo passo ed iniziare un percorso di riflessione e approfondimento è un modo per prendersi cura di sé e delle relazioni familiari, di potenziare le proprie competenze genitoriali e sostenere il bambino nel suo sviluppo.
Tratto da Il Mio Amico Pediatra