La mia opinione sulla nuova serie TV " 13 reasons why!"
Ho finito da poco di vedere “13 reason why” , serie televisiva statunitense trasmessa su Netflix inspirata al romanzo di Jay Asher.
Questa serie mi ha molto colpito per il suo realismo, la forza nel trasmettere dei messaggi e per l’originalità con cui descrive la vita di questi ragazzi, le vicende e le motivazioni per cui Hannah si è tolta la vita.
È una serie che dà uno spaccato sulla vita degli adolescenti in America a cui mi sembra che, purtroppo , anche noi ci stiamo allineando.
I temi toccati sono forti: suicidio, bullismo, cyber-bullismo, l’isolamento, l’ansia sociale, la depressione, la violenza sessuale e la cultura in cui crescono gli adolescenti.
Per chi ha figli adolescenti consiglio di guardarla, insieme a loro. Diventa un modo davvero stimolante per affrontare temi “scabrosi” che spesso non è facile affrontare quando riguardano la tua realtà. Ma con l’intermediazione del video diventa senza dubbio meno complesso, poiché non si parla di noi in prima persona ma di altri -lontani- e questo dà un senso di protezione, sicurezza e libertà nel parlarne e nel condividere opinioni ed emozioni.
Ma anche chi ha figli piccoli o non ne ha, può trarre giovamento dal vedere questa serie. Può aiutare infatti a capire le nuove generazioni e quello che vivono anche coi nuovi strumenti tecnologici a loro disposizione. Non è facile infatti, oggigiorno, immedesimarsi nella realtà quotidiana degli adolescenti perché molto diversa da quella in cui siamo diventati adulti noi e perché sicuramente più complessa. Quello che è fortemente cambiato è il modo in cui ci si approccia l’altro da sé e questo è difficile da comprendere se non lo vivi o non fai lo sforzo di entraci. Il rischio è quello di liquidare come esagerazioni alcune manifestazioni di disagio dei ragazzi, che purtroppo però possono poi sfociare in tragedie.
Hannah è una ragazza di 17 anni che si toglie la vita e lascia 13 cassette con registrate le motivazioni per cui ha deciso di suicidarsi. Queste cassette fanno capire in maniera evidente le responsabilità di chi le sta attorno che , piano pianto ma con chiarezza, inizia a mettere fuoco i fatti e capire che avrebbe dovuto fare qualcosa di più o di diverso.
È anche questo che mi piace delle serie. L’idea che all’individualismo, alla logica di perseguire il proprio interesse e piacere si voglia invece auspicare ad un NOI al quale rivolgersi come adolescenti ma anche come adulti. Un NOI solidale che ci fa sentire responsabili gli uni degli altri. Ed in questo, secondo me, entrano in gioco fortemente i genitori da due punti di vista. Innanzitutto, con l’attenzione verso i disagi del proprio figlio, a volte nascosto ed impercettibile ma molto reale, ma anche con l’insegnamento (con il proprio esempio e stile di vita) che l’Io contro tutti non paga ma va sostituito con una responsabilità più collettiva. È normale che i ragazzi abbiano l’obiettivo di vivere quello che gli offre il momento per raggiungere una soddisfazione, è la loro struttura cerebrale di ragazzi in crescita che funziona così e che vede la prevalenza del cervello “emotivo” su quello “cognitivo”. In questo l’adulto deve intervenire ed inserire nei ragionamenti del ragazzo la parte del cervello più razionale che mostra limiti, rischi e conseguenze del proprio operato.
La serie non dà risposte alle domande che posso scaturire (come si fa a capire quando uno è depresso? Perché una ragazza con tutta la vita davanti decide di farla finita senza darsi una seconda possibilità? Perché le ragazze devono essere attraenti per forza? Come mai i ragazzi usano con leggerezza i social?) però stimola la discussione ed il dialogo e questo mi sembra essenziale.
Martina Berta
psicologa-psicoterapeuta
Sito web: www.martinaberta.it