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IN ITALIA IN CALO IL NUMERO DEGLI ABORTI

Il dato, nel complesso, è in diminuizione del 3,1 per cento rispetto al 2015.

Sono meno di 85mila le interruzioni volontarie di gravidanza portate a termine nel nostro Paese nel 2016. Analizzando nel dettaglio i numeri riportati nella relazione del Ministero della Salute sull'attuazione della legge 194 del 1978, ci sono due aspetti incoraggianti: il calo del numero degli aborti tra le adolescenti (il 3 per cento del totale) e tra le donne straniere . Segno che - anche se si tratta soltanto di un'ipotesi - la sensibilizzazione in tal senso comincia a sortire gli effetti sperati. E che è comunque crescente il ricorso alla RU486, la pillola abortiva con cui è stato effettuato il 15,7 per cento delle procedure. Stessa cosa nei casi per i farmaci per la contraccezione d'emergenza, il cui impiego in Italia rimane ancora limitato, nonostante un aumento nella diffusione dovuto alla rimozione dell'obbligo della ricetta per le maggiorenni.


ANDAMENTO IN CALO DAL 2014

Valutando le interruzioni volontarie di gravidanza effettuate dalle cittadine italiane, per la prima volta s'è scesi sotto le 60.000 unità, quasi la metà delle quali non aveva altri figli. L'andamento in calo segue una tendenza comune agli ultimi tre anni, anche se è di entità inferiore rispetto al 2014 e in particolare al 2015. Il dato relativo al 2016 risulta ridotto di oltre la metà rispetto a quello rilevato nel 1982: furono 234.801 gli aborti portati a termine quattro anni dopo l'approvazione della legge che disciplinò le modalità di accesso all'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese.

In valore assoluto, le regioni in cui sono stati conteggiati più aborti sono state la Lombardia (14111), il Lazio (9032) e l'Emilia Romagna (7688). Ma prendendo come campione le donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni, i tassi di aborto più elevati sono stati registrati in Liguria (8,8 su mille) ed Emilia Romagna (8,2 su mille). Fanalino di coda la Basilicata (4,5 su mille). Tra le minorenni, il tasso di abortività per il 2016 è stato pari a 3,1 per mille. La procedura chirurgica più impiegata è stata l'isterosuzione, che consiste nell'aspirazione dell'embrione e della porzione dell'endometrio in cui esso si è impiantato e può essere utilizzata soltanto nelle prime otto settimane di gestazione. Più di sei interventi su dieci sono stati realizzati in anestesia generale, che risulta però in sensibile calo: dall'80 per cento degli interventi effettuati nel 2012 al 64,5 per cento di quelli relativi al 2016.


CHI HA FATTO INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA?

Anche nel 2016 i tassi di abortività più elevati sono stati registrati fra le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Altri valori degni di nota che emergono dalla lettura del rapporto: il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza è diminuito in tutte le prime fasce di età, mentre è leggermente aumentato nelle donne dai 35 anni in su. Un dato che fa pensare, perché mette in dubbio che a rinunciare alla maternità siano state anche donne con una situazione sentimentale stabile: non altrettanto sul piano professionale, invece. Costante rispetto agli ultimi dieci anni - ma comunque inferiore rispetto alla media europea - la quota di donne che avevano già una precedente esperienza di interruzione di gravidanza: pari al 26,4 per cento di quelle che hanno abortito nel 2016. Mentre le gravidanze interrotte oltre il terzo mese - quando il Servizio Sanitario Nazionale lo garantisce soltanto a scopo «terapeutico», ovvero a seguito del rilevamento di gravi malformazioni fetali, «che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna» - confermano un trend in aumento: dal 3,8 per cento del 2012 al 5,3 per cento del 2016. Probabilmente una conseguenza delle attuali opportunità di diagnosi prenatale.


MA ABORTIRE IN ITALIA NON E' COSì FACILE

La relazione costituisce la pietra angolare per affrontare il tema delle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia. Ma Silvana Agatone, presidente della Libera associazione italiana ginecologi per l’aplicazione della legge 194/787 (Laiga), ci vede comunque diversi limiti.

«Si tratta di un documento basato soltanto sul numero delle donne che interrompono realmente una gravidanza, senza tenere conto di quella che invece è la domanda, peraltro in assenza di qualsiasi studio che analizzi il fenomeno dell'aborto clandestino».

Impossibile, in questo caso, circoscrivere il fenomeno. Mentre è documentabile la crescente difficoltà che le donne italiane devono affrontare dopo aver deciso di abortire. «Tutti gli ospedali che hanno un reparto di ostetricia e ginecologia dovrebbero avere un servizio apposito, ma in realtà su 648 che ne sono presenti in Italia nel 2015 soltanto 385hanno praticato le interruzioni volontarie di gravidanza e non tutti quelle oltre il terzo mese. E poi c'è l'ostacolo dei ginecologi obiettori di coscienza: nel 2005 corrispondevano al 58,7 per cento, nel 2016 al 71 per cento». Tradotto: da qui a un decennio la legge 194 rischia di valere soltanto sulla carta, se non si deciderà di arginare questo trend.


IL RUOLO DEI CONSULTORI

Il rapporto conferma infine il ruolo crescente che i consultori familiari - nonostante l'eterogeneità dei servizi forniti sul territorio nazionale e della qualità dei dati forniti - hanno avuto a partire dagli anni '90 per porre le basi alle interruzioni volontarie di gravidanza. A determinare l'andamento è soprattutto il contributo delle donne straniere, che rispetto alle italiane ricorrono maggiormente al servizio territoriale. Eppure, si legge nel documento, «i 1944 consultori familiari pubblici censiti nel 2016 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale». Anche diverse associazioni lamentano una presenza sul territorio inferiore (0,6 ogni ventimila abitanti) rispetto a quella che dovrebbe essere (due ogni ventimila abitanti), secondo la legge. E non in tutti, comunque, si eseguono le procedure necessarie a praticare un'interruzione volontaria di gravidanza


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